‘Volontà’ è un concetto polisemico. In questo articolo lo esploriamo, sotto il profilo della dialettica tra il volontario e l’involontario. La dialettica ontologica degli aspetti involontari e volontari rivela la sfida normativa di ‘essere una persona’. Essere una persona è esistere come ‘me stesso’ e mediante tutte le caratteristiche che definiscono ‘ciò che sono’ (per esempio: gli aspetti biologici, il mio passato, le mie esperienze inquietanti, il modo in cui mi sento definito dalle persone mentre mi guardano, e così via), ma che, oltremodo, non possono descrivere ‘chi sono’. La dimensione involontaria del mio essere persona è ciò che è dato a priori nella mia esistenza, la materia prima che costituisce le disposizioni sedimentate del mio essere e che pone i confini della mia libertà. L’involontario, dunque, è la non scelta, è l’insieme di tutte le possibilità implicite che limitano le mie azioni e le mie reazioni, il lato oscuro della persona e la sua oscura e dissociata spontaneità. In altre parole, è l’esperienza della necessità, di ciò che non abbiamo e non possiamo scegliere. Nozioni come “pulsione”, “emozioni”, “desiderio”, “carattere” ecc. appartengono al circolo dell’involontario. Le radici dell’involontario, dunque, sono la mia storia, il mio corpo e il mondo in cui sono stato gettato. Nel presente lavoro esaminiamo questa dialettica tra il volontario e l’involontario, sottolineando come essa sia strettamente legata al concetto di individualità e alterità e alla loro dialettica. Se e solo se acconsento volontariamente alla dimensione involontaria della mia esistenza posso metterla al servizio della mia identità.
Parole chiave: volontario, involontario, identità, alterità, desiderio, libertà
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