La dimora estranea. Note su Freud e Tausk

di Antonino Trizzino
«atque», 27-28, 2003, pp. 139-158

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Quanto, infine, resta sconosciuto, è ciò che,

nello stesso momento, riconosco:

sono io stesso, nel momento sospeso della certezza,

io stesso nell’apparenza dell’essere amato,

di un rumore di cucchiaio, o del vuoto.

G. Bataille, Su Nietzsche, 1945

 

 

Se si volge uno sguardo alla storia delle idee può accadere di imbattersi nelle vicende di due ricercatori che, ciascuno con il proprio passo, agguantano nello stesso giorno la stessa soluzione a un rompicapo. Può darsi che entrambi si scoprano a frugare nello stesso cesto. Può darsi, infine, che il punto di tangenza di due interpretazioni, pur oscillando, si faccia meno ambiguo. E conservi ilsuo potere di interrogazione.

È ciò che accade nell’anno 1919 in quel, non più ristretto, gruppo di allievi riuniti intorno a Freud per fare psicoanalisi. A pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, due scritti sembrano additare lo stesso friabile terreno di conoscenza, per non invocarlo più in altri scritti, e per ragioni diverse. I due saggi, per i quali si tenterà qui di tracciare un sentiero, sono Il perturbantel di Freud e Sulla genesi della ‘macchina influenzante’ nella schizofrenia, l’ultimo scritto di Tausk.

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