La psicoterapia e il modo indicativo

di Giuseppe Maffei
«atque», 8, 1993, pp. 105-120

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L’infinito

Giorgio era un signore trentenne che lamentava, prevalentemente, un continuo disadattamento sui luoghi di lavoro dovuto, a suo dire, ad un’ incontenibile violenza verbale vissuta, da un lato, come coatta ma dall’altro anche esibita e oggetto di autocompiacimento. Si trovava sempre in lite con tutti, perché, con tutti, nascevano sempre equivoci e questi accadevano perché nessuno, secondo lui, arrivava a comprenderlo: molti degli equivoci in cui cadeva erano comunque legati al fatto che gli altri prendevano sul serio le sue parole e pretendevano che lui fosse con seguente a quanto aveva antecedentemente affermato. Se una ragazza gli rinfacciava, ad esempio, di averle detto di provare interesse per lei, lui si infuriava per ché, quella frase, lui affermava, non l’aveva detta sul serio. E la ragazza avrebbe dovuto capire. Con questo modo di fare era naturalmente molto indisponente e chi doveva trattare con lui, specie per lavoro, quando lui non rispettava affatto gli impegni presi, si trovava spesso in una sorta di stato di impotenza, perché, di fronte alle sue contro-contestazioni aggressive e pignole, ogni pensiero logico, ogni ragionamento venivano a smussarsi e a cadere.

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