La questione dell’etica in Freud e Jung

di Umberto Galimberti
«atque», 27-28, 2003, pp. 107-124

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In ogni tempo si è assegnato ali’etica il massimo valore

come se tutti se ne aspettassero importanti conseguenze.

Ed è vero che l’etica, come è facile riconoscere,

tocca il punto più vulnerabile di ogni civiltà.

Perciò essa va intesa come un esperimento terapeutico,

come uno sforzo per raggiungere,

attraverso un imperativo del Super-io,

ciò che finora non fu raggiunto

attraverso nessun’altra opera di civiltà.

S. Freud, Il disagio della civiltà (1929), pp. 627-28.

 

 

La norma diventa sempre più superflua

in un orientamento collettivo della vita,

e con ciò la vera moralità va in rovina.

Quanto più l’uomo è sottoposto a norme collettive,

tanto maggiore è la sua immoralità individuale.

C.G. Jung, Tipipsicologici (1921), § 828, p. 464.

 

 

Tra l’impossibilità della comprensione teorica per i riconosciuti limiti della ragione e l’incessante incalzare della prassi, a questo punto cieca e a se stessa ignota, a gettare un po’ di luce può essere solo la parola mitica, eco lontana di una memoria stratificata, conferma indiretta dell’indicazione platonica: “co noscere è ricordare”.

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