La solitudine del curante, la scissione mente-corpo e il deficit della simbolizzazione

di Vincenzo Caretti
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 323-332

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La solitudine è quello spazio mentale dove si confrontano, si rielaborano e si trasformano, nell’immaginazione, i significati della nostra esistenza e della nostra esperienza del mondo. È nella nostra più segreta intimità che avvengono i processi più importanti relativi al Sé, quelli che orientano ilnostro modo di percepirci, di essere e di agire. Saper stare da soli rappresenta una preziosa risorsa quando è necessario modificare l’atteggiamento mentale o il nostro rapporto con gli altri, oppure quando dobbiamo risolvere un conflitto o una preoccupazione. Saper stare da soli significa saper stare, anche, con il proprio corpo: ascoltare le sensazioni degli stati fisici e come queste si correlano alle emozioni psichiche, ai vissuti e agli stati della coscienza.

La solitudine è difatti illuogo dove si svolge quella funzione integratrice dell’Io, detta funzione simbolica, che ha lo scopo di differenziare, integrare e trasformare le opposizioni che si sperimentano relativamente al Sé e al mondo esterno e, senza la quale, l’Io non reggerebbe il confronto con le vicissitudini della vita. La funzione simbolica coincide con la capacità di mentalizzare le emozioni e le sensazioni a esse collegate nel corpo, di pensare i propri stati interiori, di riconoscere quelli degli altri e di poter utilizzare questa riflessività nelle relazioni interpersonali.    ‘

Al giorno d’oggi, le possibilità creative della solitudine vengono raramente considerate mentre invece se ne riscontrano, nell’accezione comune, il senso dello svuotamento e dell’impoverimento esisten ziale.

 

 

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