L’affettività

di Eugène Minkowski
«atque», 17, 1998, pp. 145-162

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Ai nostri giorni si parla di psicologia e di psicopatologia affettive. In passato, i fattori affettivi non sono certo stati trascurati completamente, ma si trovavano immediatamente subordinati ad altre facoltà, in primo luogo alle facoltà intellettuali e cognitive, all'”‘essere pensante”, in una parola. Come corollario, per quanto riguarda i disturbi mentali era questione di disordine, di anarchia, di vagabondaggio del pensiero, o, più tardi, di disturbi delle associazioni. Oggi non più.

Naturalmente, quando si tratta della nostra vita mentale, non possiamo stabilire caselle dai limiti nettamente definiti, separando radicalmente un versante dagli altri: tutti, toccandosi da vicino, si ricongiungono, integrandosi al flusso in movimento dell’esistenza. È forse utile richiamare, a questo proposito, i tre valori fondamentali che sostengono la nostra vita: il vero, il bello, il bene; benché ciascuno di essi rappresenti un aspetto peculiare e distinto, la loro sorgente rimane comune: vi è del vero nel bello e nel bene, e d’altra parte parliamo, quando capita, di un bel gesto o di una bella azione.

Fatta questa riserva, constatiamo che l’affettività ci si presenta con un rilievo particolare, tale al tempo stesso da consentire di chinarci su di essa più da vicino, così da individuare ciò che vi, è di fondamentale e da domandarci, in una parola, che cosa essa sia. Sarà be ne guardarsi dall’abbandonarla troppo prematuramente per delle “teorie” – siano esse teorie neuro-fisiologiche, intellettualiste o associazioniste-, rimanendo invece in sua presenza e sforzandoci di precisarne i tratti essenziali. Il fatto è che nell’ambito di tali teorie essa perde troppo facilmente il suo aspetto.

 

 

 

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