L’angoscia dell’istante e la paura dell’al di là

di Vladimir Jankélévitch
«atque», 23-24, 2001, pp. 7-12

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Se il quasi-niente, se l’essere-minimale dell’istante mortale è l’oggetto quasi-inesistente della nostra angoscia, l’al-di-là – concepito in maniera antropomorfica e come una variante dell’al-di-qua -, l’al-di-là con le sue minacce e i suoi pericoli sconosciuti, è l’oggetto dei nostri terrori. L’ellenismo e certe reli gioni della salvezza, per esempio, più che quell’angoscia, conoscevano questi terrori. Rispetto a questa paura dell’al-di-là, la fobia dell’istante mortale rappresenta allora quello che è il coraggio rispetto alla resistenza. Il coraggio – che sia coraggio di cominciare o coraggio di terminare – è, in entrambi i casi, la virtù per eccellenza dell’uomo che osa, cioè di colui che sa affrontare l’improvviso mutamento dell’istante: è uno stato di urgenza di fronte all’imminenza del pericolo che si approssima. Per questo la timidezza, che invece non “osa”, ha tanti punti di contatto con l’angoscia. L’angoscia, in questo senso, è comune sia alla timidezza sia al pudore. Non c’è forse un pudore dell’istante? L’innovazione, per esempio, è più che altro oggetto d’angoscia, mentre la novità è piuttosto oggetto di paura.

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