L’attualità come vincolo interpretativo

di Maria Ilena Marozza
«atque», 14-15, 1996, pp. 91-108

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Non ode, o ode in modo sbagliato,

solo colui che ascolta costantemente se stesso.

H.G. Gadamer

 

Vorrei iniziare queste brevi considerazioni sul colloquio clinico con un’osservazione che mi sembra un truismo, ma che forse merita di essere sottolineata, e cioè che il colloquio clinico, avendo origine dall’incontro duale ed essendo fondato sul dialogo, ha a che fare con una modalità della conoscenza che non può prescindere dall’intersoggettività né tanto meno dal peso dell’attualità. Cosa che, per quanto evidentissima, su bisce spesso il destino di alcuni elementi di senso comune che, essendo sempre lì, non vengono più visti.

Vorrei viceversa, in queste brevi note, riflettere su alcune implicazioni di tale evidenza, cercando di trarne qualche spunto utile ad approfondire una tematica tipica della psicologia dinamica attuale, la quale si chiede che sapere sia quello che nasce dalla prassi clinica, e in che modo essa differisca da una competenza più speculativa o a fondamento sperimentale. Tematica che, all’interno della teoria psicoanalitica, trova un suo antecedente, ormai quasi storico, nel dibattito iniziato dagli allievi di Rapaport sulla possibilità di mantenere una metapsicologia o sul posto da assegnarle nei riguardi di una teoria fon data essenzialmente sulla clinica.

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