L’esperienza del sé

di Adriano Fabris
«atque», 11, 1995, pp. 137-148

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Dire di due cose che esse sono identiche

è un non-senso; e dire di una che essa

è identica a se stessa, dice nulla

(Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 5.5303)

 

Parlare di esperienza del sé può far subito venire in mente le questioni ormai obsolete (e più volte criticate nel corso del Novecento per i loro non chiariti presupposti) che riguardano il modo in cui viene realizzato e vissuto il rapporto dell’individuo con se stesso. Non si tratta tuttavia, assumendo questo tema, di riproporre i problemi relativi all’ Erlebnis di un soggetto individuale, cioè al complesso dei vissuti propri di ciascuno la cui accessibilità intersoggettiva è ciò che appunto risulta problematico. Né si tratta di riproporre nuovamente la tematica dell’autocoscienza e del riferimento di sé a sé, con tutte le diffìcoltà che sono state evidenziate soprattutto nell’ambito del pensiero analitico!. Voglio invece iniziare a riflettere, nelle pagine che seguono, su cosa può voler dire il parlare di “esperienza” quando è in gioco quel fenomeno problematico che è il sé. Voglio cioè prendere in considerazione alcune conseguenze che, riguardo a queste tematiche, derivano dalla nuova concezione dell’esperienza che sempre più si sta precisando all’interno del dibattito filosofico contemporaneo e che risulta per molti versi alternativa a quella che finora ha dominato il pensiero occidentale.

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