Nòstoi inauditi. Dalla percezione sonora fetale all’ascolto analitico

di Elena Gigante
«atque», 10 n.s., 2012, pp. 129-149

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Though this be madness, yet there is method in’t

 

 

L’inaudito come declinazione dell’inatteso

 

L’universo della percezione sonora fetale costituisce una matrice originaria che potrebbe essere rappresentata mediante una metafora goethiana, quella del regno delle Madri. Attraversando la galleria oscura Faust e Mefistofele si ritrovano di fronte a nembi metafisici che preparano l’apparizione delle Dee Madri, ipostasi delle forme vuote dal contenuto abissale, dove ogni tentativo di comprensione si traduce in un’esperienza di disorientamento. Lì tutto è informe e multiforme, infinitamente declinabile, aperto al regno della possibilità eppure non trascendente, ma ancorato alla realtà vibrante della praxis con lo stupore di un’esperienza primige nia, dove il nulla coincide con il tutto.

Il dialogo come contesto elettivo della terapia fondata sulla parola-che-cura o, preferirei dire, che-trasforma, appare ineffabilmente soggetto alla dinamica dell’ascolto e si riconnette alla problematica essenziale dell’esistenza che possiamo metaforizzare nella gogna del la parola del Prometeo eschileo. In effetti esiste un’oggettività della lingua che risiede nella sua composizione di suoni caratterizzati da una peculiare successione di ritmi e durate, che nella cultura greca veniva teorizzata in un codice di regole trasmesse mediante l’inse gnamento della ritmica come prodromo alla metrica.

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