Risentimento e vergogna: le basi morali della responsabilità

di Vanessa De Luca
«atque», 19 n.s., 2016, pp. 153-171

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In questo articolo analizzo il ruolo del risentimento nella vita etica. Nella sua veste reattiva, il risentimento è la risposta che si prova in quanto vittime di un danno o di un’ingiustizia. Nell’esplorare la varietà delle circostanze in cui si prova tale emozione, il mio obiettivo è quello di identificare una concezione del risentimento come risposta attraverso la quale valutiamo il fallimento degli altri nell’attenersi a degli standard morali. Per difendere questo punto, sosterrò che la valutazione morale è connessa in un senso rilevante a domande normative che indirizziamo gli uni verso gli altri e analizzerò la relazione tra il risentimento e gli altri atteggiamenti reattivi, in particolare la vergogna. Questa ipotesi è sviluppata a partire da una prospettiva metodologica che rivendica il ruolo della psicologia morale nell’analisi filosofica e che trova in autori come Peter Strawson e Bernard Williams, una delle sue formulazioni più originali.

 

Parole chiave: risentimento, atteggiamenti reattivi, psicologia morale, interazione morale, ingiustizia, vergogna.

 

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Ri-sentimenti della rete. Osservazioni

di Ubaldo Fadini
«atque», 19 n.s., 2016, pp. 173-186

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Il contributo intende proporre un’idea di risentimento all’altezza della manifestazione di sentimenti, affetti, ecc., che si concretizza oggi nello spazio antropologico della Rete. Piuttosto che alla linea interpretativa del risentimento come qualcosa di costitutivamente negativo (Nietzsche), si fa riferimento a un’altra idea di risentimento (Améry) in grado di tenere insieme memoria ‘e’ intelligenza, valutandone così il possibile utilizzo in una prospettiva di lettura critico-politica del nostro presente sempre più digitalizzato.

 

Parole chiave: risentimento, rete, informatica, morale, soggetto/utente.

 

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Sodoma: democrazia e risentimento (1968)

di Giulio Preti, Alessandro Pagnini
«atque», 19 n.s., 2016, pp. 189-215

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I “materiali” di «atque» presentano questo testo che Giulio Preti compose nel ’68, e quindi negli anni dove la filosofia andava riflettendo, approfonditamente e talora anche drammaticamente, su tale tema. E lo compose a partire dall’idea che, nella modernità, la democrazia sia innanzitutto cultura e quindi qualcosa che vada affrontata non già in sé bensì all’interno del problema dei valori – dove risuonano sì i problemi della morale ma, con toni ancora più alti, quei problemi della conoscenza e della ragione scientifica che la dialettica storica ogni volta veicola. È dentro una cornice di riflessioni intorno sia a fatti e valori, sia a conoscenza ed etica, sia a eticità e moralità, sia a persuasione razionale e consenso, che Giulio Preti intende infatti far valere una prospettiva oggettivante la quale mostra come ogni giudizio ideologico, carico di emotività, non si sottragga mai alla contingenza né possa vantare un respiro autenticamente morale. E attraverso questa impostazione teoretica assume il risentimento come fatto morale e sociale. Emblematicamente il risentimento sarebbe provocato da un giudizio ideologico e umorale: una “reazione emozionale di ostilità” nei confronti di quei valori che non appartengono al gruppo umano o alla classe di cui fa parte il soggetto risentito. Esso nascerebbe da “un odio impotente e represso”, ovvero da un desiderio di vendetta inappagato o di invidia profonda. E sarebbe alimentato da una “memoria infetta” (come vorrà chiamarla Edgar Morin) che è in grado di provocare un rovesciamento dei valori – solo perché quei valori non appartengono al soggetto che se ne sente escluso. Proprio il risentimento sarebbe ciò che genera una forma di conformismo morale che è sostanzialmente un rifiuto della morale stessa: vale a dire un conformismo che non pervenendo a una critica razionale dei valori, rispecchierebbe il punto di vista di persone né libere né autodeterminate nel giudizio. Per questa via il conformismo sarebbe addirittura da considerare l’effetto dell’astuzia di un sistema di potere che vuole durare: «l’uomo che la struttura sociale condanna a essere uomo di massa afferma che solo la massa è valore». E così, à la Scheler, il risentimento finirebbe con il diventare figlio di un egualitarismo malinteso: il desiderio di eguaglianza che esso veicola, sarebbe il desiderio di chi stando più in basso o temendo di precipitare in basso, degrada coloro che stanno in alto. E l’etica puramente negativa di chi si rivolge contro “il sistema” e contro i suoi valori favorirebbe una logica settaria che negando l’intersoggettività e l’interazione dialogica (sia pure conflittuale), creerebbe per l’appunto gruppi chiusi, a matrice fortemente identitaria, che non prospettano un diverso “cosmo di valori”, ma semplicemente si estraniano dall’ethos che vige – e così facendo ne consacrano l’esistenza.

 

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Recensione su «Medicina & Storia»

La rivista «Medicina & Storia» [Anno XVI / 9-10, n.s. / 2016, ISSN (print) 1722-2206 – ETS] ha così recensito il fascicolo di atque 18 n.s. –  anno 2016:

 

Quando «atque» nasce nel 1990 è una rivista che sta in una mano, un formato inedito per un semestrale che, nel sottotitolo, si dichiara costruito con «materiali tra filosofia e psicoterapia» e che è allo stesso tempo un oggetto tascabile e un’invenzione mentale, un arduo incontro fra tangibilità e astrazione. Dal 1990 al 2004 «atque» cambia colore di copertina a ogni uscita, coprendo quasi tutto lo spettro visibile; il lettore attento ai dati percettivi delle facciate, e alle loro promesse, si trova davanti a una piccola enciclopedia magica dove si può entrare e uscire da qualsiasi parte, magari con la sensazione di smarrimento circolare di una porta girevole. Da oltre venticinque anni «atque» propone temi che attengono criticamente alla psicologia, alla psicoanalisi, alla psichiatria, alla psicoterapia e con queste, alla filosofia, ma anche ad altri ambiti più o meno confinanti e collegati da una certa congenialità: la letteratura, l’arte e l’estetica, la filosofia della mente, la linguistica, la matematica e la fisica, le neuroscienze, l’informatica.

Nel 2006 «atque» si rinnova, ma il programma resta quello di offrire al lettore un vero e proprio teatro delle idee; la rivista inaugura una nuova serie, cambia formato, veste grafica e copertina (ospite della collana “Il Tridente Campus” della casa editrice Moretti & Vitali), continuando ad affrontare questioni centrali che interessano il pensiero di filosofi, psicoterapeuti, psicoanalisti e quindi di tutti gli studiosi che intendano assumere criticamente le proprie tradizioni di ricerca. «C’è da dire a questo punto che, dalla sua fondazione, “atque” insegue non già l’attualità, bensì cerca di farne e averne esperienza, quell’esperienza che, con Walter Benjamin, si trova in quel continuo andirivieni tra tempi e “infratempi”, ovvero tra momenti di adesione alla vita e momenti di pausa, dove la stessa vita che ancora si svolge può davvero essere rivisitata e compresa. È dentro l’esperienza di questi “passaggi” o di queste “soglie”, cui la stessa scelta del titolo rinvia, che “atque” si trova ad affrontare, attraverso fascicoli monografici, questioni centrali che attraversano (e costituiscono) il pensiero degli psicoterapeuti e dei filosofi».

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18 n.s./2016
L’OPACITÀ
DELL’OGGETTUALE

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a cura di Fabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri

 

PREFAZIONEFabrizio Desideri e Paolo Francesco Pieri//IL TEMA/Opacità del mondo e conoscenza Giuseppe Vitiello//PRIMO MOVIMENTO/Sulla resistenza delle coseLuca Taddio/ Percezione e resistenza dell’oggettoAlfredo Paternoster//SECONDO MOVIMENTO/Identità corporea e identità narrativa – Massimo Marraffa/Divenire cosa divenire corpoFelice Cimatti/Oggetti dentro i corpiAugusto Iossa Fasano//TERZO MOVIMENTO/Un tocco di ri-guardoFelice Ciro Papparo/Il carcere, la tomba, il fango. Sulla fortuna di alcune immagini da Platone all’età di PlotinoMartino Rossi Monti//QUARTO MOVIMENTO/Il vetro e il velluto. La casa tra opacità e trasparenzaElisabetta Di Stefano/Bartleby o l’opacità. L’uomo segreto nella letteratura americana – Antonino Trizzino//RIPRESA DEL TEMA/Il fattore opacità. Stupidità e indeterminazione in Gilles DeleuzeUbaldo Fadini//INDICE ARTICOLI “ATQUE” 1990-2016
 
 

[Anteprima delle prime pagine di ogni articolo del fascicolo.]

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Questo fascicolo di «atque» riflette sull’intrinseca, originaria e fondamentalmente positiva, opacità del reale. Ovvero sul carattere di opacità e insieme di concretezza delle cose, delle persone, degli eventi a cui, d’altronde, varie pratiche di studio e riflessione sembrano ormai rinviare: dalla percezione all’attenzione, dal darsi del dentro e del fuori, alla relazione tra mente e corpo e tra soggetto e oggetto.

Opacità degli oggetti fisici e della materia delle cose: materialità, attrito, resistenza, persistenza, “quel che resta”, “il soggetto sottostante” non fanno altro che comporre un corollario della opacità delle cose – così come esse appaiono nel nostro campo visivo. D’altronde, nella visibilità – nel gesto della visione che accompagna il nostro situarci nel mondo – le cose, le persone, le situazioni si dispiegano nella nostra vita proprio per il loro carattere opaco e insieme concreto.

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Opacità del mondo e conoscenza

di Giuseppe Vitiello
«atque», 18 n.s., 2016, pp. 17-32

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Partendo dalle definizioni di opacità e trasparenza, si discutono aspetti strutturali dei processi con cui si osservano le interazioni in fisica evidenziando l’esistenza di regioni di opacità intrinseca. Si estendono tali considerazioni ad aspetti della nostra relazione con il mondo che ci circonda e all’analisi di aspetti funzionali della dinamica cerebrale relativi al ciclo di azione-percezione. Si suggerisce che l’attività mentale sia intrinsecamente legata alla caratteristica del cervello di essere un sistema aperto.

 

Parole chiave: opacità, conoscenza, osservabili, dissipazione, freccia del tempo, coerenza, ciclo azione-percezione, Doppio, cervello, mente

 

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Sulla resistenza delle cose

di Luca Taddio
«atque», 18 n.s., 2016, pp. 35-56

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L’apparire della cosa istituisce un complesso rapporto tra percezione e pensiero. Questo saggio prende in esame tale rapporto al fine di chiarire in che cosa consista la presunta indipendenza della percezione diretta rispetto all’attività di pensiero. L’indipendenza della dimensione fenomenica entro una matrice realista è garantita dal fatto che le variabili «dipendenti» e «indipendenti» che costituiscono l’apparire del fenomeno sono localizzate nel mondo, mentre l’emergere della realtà dipende da rapporti numerici che stabiliscono il senso stesso di ciò che indichiamo come «realismo» o «razionalismo materiale».

 

Parole chiave: Nuovo realismo, realismo ingenuo, realtà, cosa, rappresentazione, esperienza immediata, realismo diretto, estetica, resistenza, stabilità, percezione, triangolo di Kanizsa, identità, effetto tunnel, movimento stroboscopico

 

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Percezione e resistenza dell’oggetto

di Alfredo Paternoster
«atque», 18 n.s., 2016, pp. 57-78

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Muovendo dalla premessa che l’esistenza di un mondo esterno indipendente da noi (= realismo del senso comune) non è negoziabile, in quanto la presenza dell’oggetto come altro da noi ci si impone pre-intellettualmente in modo ineludibile, in questo articolo difenderò la tesi secondo cui la migliore giustificazione del realismo richiede di sottoscrivere il realismo diretto in filosofia della percezione e argomenterò a favore di una versione relazionale del realismo diretto.

 

Parole chiave: percezione, realismo diretto, principio di relazionalità, principio di prossimalità

 

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Identità corporea e identità narrativa

di Massimo Marraffa
«atque», 18 n.s., 2016, pp. 81-105

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In questo articolo si avanza l’ipotesi che la forma più originaria di autocoscienza sia l’autocoscienza corporea, intesa come la capacità di costruire una rappresentazione analogica del proprio corpo preso come un oggetto intero, al tempo stesso considerando questa rappresentazione come soggetto, ossia come fonte attiva della rappresentazione di sé. La coscienza del corpo come corpo proprio è necessaria per la costruzione dell’autocoscienza psicologica, e quindi dell’identità narrativa. Questa autodescrizione psicologica si incardina sull’autodescrizione corporea, sviluppandosi da questa in virtù di un intergioco fra mentalizzazione, memoria autobiografica e capacità sociocomunicative, modulato da variabili culturali.

 

Parole chiave: autocoscienza corporea, autocoscienza psicologica, identità narrativa, identità sociale, sé minimale

 

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Divenire cosa, divenire corpo

di Felice Cimatti
«atque», 18 n.s., 2016, pp. 107-132

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Ciò che più temono gli esseri umani è essere ridotti a ‘mere’ cose. In questo lavoro provo a capire questa paura a partire da una analisi filosofica della distinzione istituita da Heidegger fra essere umano e pietra. Secondo Heidegger Homo sapiens è un soggetto proprio perché non sarebbe una cosa. La condizione per essere un “soggetto” consiste nella capacità di dire di sé “io”. Pertanto, c’è una strettissima relazione fra soggettività e linguaggio da un lato, e il timore delle cose dall’altro. Al contrario, la psicoanalisi è il tentativo di dare un corpo al soggetto. È cioè il tentativo paradossale di liberare il corpo umano dalla parola. La psicoanalisi è il tentativo di permettere al soggetto umano di diventare un corpo, cioè una cosa.

 

Parole chiave: Heidegger, Lacan, cosa, desiderio, corpo umano, umanesimo, anti-umanesimo

 

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