Chi sono io? Forme dell’individuo fra filosofia e biologia

di Maria Grazia Portera
«atque», 13 n.s., 2013, pp. 81-104

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Sé, io, me: La psicologia della coscienza in Georg Herbert Mead

di Rossella Fabbrichesi
«atque», 13 n.s., 2013, pp. 59-80

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Materia cosciente tra prima e terza persona

di Roberta Lanfredini
«atque», 13 n.s., 2013, pp. 41-58

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Dalla clinica del ‘caso’ all’incontro: verso una psicopatologia della prima persona

di Arnaldo Ballerini
«atque», 13 n.s., 2013, pp. 21-40

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Parva gramaticalis ovvero Impossible love

di Fabrizio Desideri
«atque», 13 n.s., 2013, pp. 11-18

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Andirivieni di contatti tra corpo e mente

di Anna Gianni
«atque», 11 n.s., 2012, pp. 201-214

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Tutto quello che possiamo sapere a livello empirico è che i processi del corpo e quelli della mente e dello spirito avvengono parallelamente, in un modo che per noi è misterioso. Purtroppo la nostra mente è così limitata da non poter considerare corpo e mente come un’unica entità; probabilmente sono una cosa sola, ma noi non siamo in grado di pensarlo.

C.G. Jung2

 

 

nella convinzione che ogni ricercatore della psicologia del pro fondo debba proporsi egli stesso come oggetto di ricerca, penso pos sa essere utile a me, come piccolo sforzo di scrittura, e a chi legge, come possibilità di trovare nuove analogie e nuove metafore, riflette re insieme sulla esigenza di comprendere l’enigma dei contatti che intercorrono tra corpo e mente.

Tenterò, in questa prospettiva, nelle riflessioni che seguono, una descrizione in prima persona3 del mio vissuto corporeo legato alla pratica del Tai Ji quan, una delle discipline psicofisiche più complete dell’antica Cina. Sintesi tra arte marziale, metodo terapeutico e via della trascendenza, la pratica del Tai Ji quan è stata mantenuta segreta per molti secoli. Poiché è considerata una meditazione in movimento, prenderò come oggetto di attenzione e consapevolezza solo una parte del mio corpo, la mano, che, in analogia con il respiro, è l’oggetto di consapevolezza più comune nelle pratiche meditative

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Contatto vs perdita del contatto. Per una antropologia dell’ambiente fra Eugène Minkowsky a Gilles Deleuze

di Massimo Caci
«atque», 11 n.s., 2012, pp. 175-200

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Introduzione

 

Il libro La Schizophnie di Eugéne Minkowski del 19271 ha rap presentato una svolta importante nel dibattito psichiatrico sul valore da attribuire al tempo negli studi psicopatologici. Come ben sottolineato da Enzo Paci, emergono in quegli anni, grazie alla Dasein analyse, degli studi sull’uomo incentrati non solo sulla psiche ma an che sul suo vissuto. quello che risalta da questi studi è la dimensione del sentire, del vissuto, dove il tempo dell’esperienza acquista un carattere soggettivo. quindi il ruolo della coscienza non è solo quello di un osservatore distaccato ma anche quello dell’entrare pienamen te nel tempo dell’esperienza. Continua a leggere ›

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The touch beyond the screen

di Roberto Diodato
«atque», 11 n.s., 2012, pp. 153-174

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Lev Manovich nel suo celebre The Language of New Media traccia una suggestiva genealogia dello schermo quale interfaccia che consente un’arte della comunicazione. Manovich collega strettamen- te i concetti di interfaccia e di schermo: «La realtà virtuale, la tele- presenza e l’interattività – scriveva una decina di anni fa – sono con- sentite dalla recente tecnologia del computer digitale. Ma diventano reali grazie a una tecnologia molto più antica: lo schermo». Continua a leggere ›

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Capovolgimenti e catastrofi. Fra pratiche del contatto e pratiche del contagio

di Roberto Manciocchi
«atque», 11 n.s., 2012, pp. 127-149

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Il reale va bene, l’interessante è meglio.

Stanley Kubrick

 

 

Introduzione

 

Andando a scorrere la storia della realizzazione di 2001: Odissea nello Spazio, si scopre, dal racconto dei collaboratori di Kubrick, che fra le possibilità prese in esame dallo staff della produzione per Continua a leggere ›

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L’impronta. Trattenere i corpi, toccare l’immagine

di Attilio Scarpellini
«atque», 11 n.s., 2012, pp. 113-126

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In una foto scattata da Richard Drew l’11 settembre del 2001 si vede un uomo che cade seguendo una linea perpendicolare da una delle Torri Gemelle: nessuno sa come si chiami – o almeno non ri sulta che delle ricerche siano state fatte al proposito, forse perché la sua identità non interessava realmente nessuno: la sua postura, la sua grave traiettoria fisica nel precipitare, l’irrealtà del suo volo a rovescio, l’astrazione dell’immagine hanno fatto correre fiumi di in chiostro, il suo nome, la sua vita, il suo racconto sono rimasti appan naggio di un’intimità che si è guardata bene dal manifestarsi – in pochi conoscono il suo nome e tutti lo hanno definito servendosi del titolo della fotografia: a falling man, un uomo che cade, per qualcun altro, più versato nel simbolico, l’uomo che cade. Continua a leggere ›

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