Paura e fame di futuro

di Alfonso Maurizio Iacono
«atque», 23-24, 2001, pp. 17-28

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L’uomo famelico di fame futura

Da qualche anno noi tendiamo a concepire il futuro sempre più come una difesa o al massimo come un arricchimento piuttosto che come un’alternativa rispetto a cui commisurare lo stato di cose esistenti. Vi è, nella nostra epoca, una forte tendenza, fondame talmente conservatrice, che sembra attraversare tutte le ideologie e tutte le forze politiche. Il mondo occi­dentale moderno è stato caratterizzato dall’incessante bisogno di rivoluzionare sempre se stesso. Vale la pena di citare ciò che non è bon ton citare: «La borghesia – scrivevano Marx e Engels – non può esiste re se non a patto di rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, il che vuol dire i modi e rapporti della produzione, ossia, in ultima analisi, tutto l’insieme dei rapporti sociali. La immutata conservazione dell’antica maniera del produrre era la prima condizione di esistenza delle antecedenti classi industriali. Cotesto continuato sovvertimento della produzione, cotesto ininterrotto scuotimento delle condizioni sociali, cotesto moto perpetuo, con la insicurezza che assidua l’accompagna, contraddistingue l’ epoca borghese da tutte le altre che la precedettero». L’impressione è che questo meccani­ smo, che ai tempi di Marx e Engels era impetuoso e travolgente, rischia oggi di trasformarsi in un circolo vizioso.

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