‘Pensare dialetticamente e non dialetticamente a un tempo’. Quindi ‘rompere’ (con) questo stesso tempo

di Paulo Barone
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 205-218

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  1. Quando si parla di identità (delle opposizioni) si tocca una figura che attraversa da cima a fondo l’intera tradizione culturale. Le variazioni su questo tema sono state molteplici: indistinto momento totale e panico della natura, essere in assoluto, Nulla, unità senza contrasti, fusione confusionale e indifferenziata, Uno fuori da tutto, Uno dentro tutto, en-kai-pan, e così via. Ciò che preme qui sottolineare, però, non è tanto il valore che di volta in volta gli è stato asse gnato in determinate configurazioni – se si sia trattato di un ‘luogo’ da cui fuggire soltanto oppure al quale fare ritorno il più presto possibile, se abbia occupato un posto letterale oppure soltanto metaforico, ecc.. Quanto piuttosto il fatto che l’identità sia stata generalmente trattata dando per scontato che una distanza da essa fosse senz’altro possibile. Ciò che è qui in questione, in altri termini, è che l’identità sia stata per lo più pensata in funzione di un’apertura cui essa avrebbe dato origine, in funzione di un movimento di allontanamento da essa. L’identità rimaneva così localizzata, dando simultaneamente spazio a qualcosa di relativamente altro da lei. In questo senso si è sempre parlato di ‘identità’ e ‘differenza’, di ‘stesso’ e ‘altro’, di ‘uno’ e ‘due’, e quindi di intemporalità e tempo, di inconscio e coscienza, di essenza ed esistenza e via discorrendo. Impossibile, alla fin fine, rinunciare all’uno o all’altro dei due termini messi in coppia. In una simile struttura polare della realtà acquista senso solo ciò che si muove e si mantiene tra i due lembi, che sa passare dall’uno all’altro, senza identificarsi né con l’uno né con l’altro. Non a caso la categoria che ha assunto un peso sempre maggiore è quella della rela­zione: relatività di tutto con tutto.

 

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