Percorsi psicopatologici. La disforia e il tragico

di Giovanni Stanghellini
«atque», 5, 1992, pp. 155-168

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I. Il tema della “verità narrativa” si colloca all’interno di un orizzonte di rimandi, sia filosofici sia di pertinenza psichiatrica, che si compendia in una serie di antitesi teoriche la cui genealogia risale almeno fino al Teeteto platonico ed alla diatriba tra la tesi protago rea e la tecnica del dialogo socratico . Il problema radicale, infatti, che viene posto dal dialogo è se al medico-sapiente competa la ricerca della verità; la dottrina del sofista Protagora si scontra con quella socratica -gli esiti delle cui analisi sono non a caso così insistentemente aporetici -poiché il primo suggerisce di rinunciare alla ricerca della verità e di impegnarsi piuttosto nel persuadere l’interlocutore ad operare quel mutamento necessario affinché, se questi vive male nel proprio mondo, possa vivere in armonia con esso. Il sapere ipostrutturante, l’etica aporetica socratica è quanto di più distante si possa immaginare dal sapere soterico ed euporetico propugnato da Protagora, tanto che il dialogo in questione ci appare emblematico della coppia problematica -che concerne la teoria della prassi psicoterapeutica -riassunta (come tutti sanno) da Spence nella formula che contrap­pone la verità narrativa a quella storica.

Questa contrapposizione si trova molteplicemente declinata nei vari campi delle scienze dell’uomo (non solo ovviamente nelle discipline psicodinamiche) e variamente descritta secondo gli stili di pensiero.

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