Psicopatologia e figure del presente

di Mario Rossi-Monti
«atque», 3-4 n.s., 2008, pp. 295-324

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Verso il bordo della cascata?

 

A metà degli anni Ottanta uno dei pochi grandi psicoanalisti italiani scriveva alcune pagine fondamentali intorno al cambiamento al quale sembravano andati incontro i pazienti che chiedevano di sdraiarsi sul lettino di uno psicoanalista. I nostri pazienti, si chiedeva Eugenio Gaddini, sono cambiati? e se sì, come sono cambiati? Ma gli psicoanalisti, proseguiva Gaddini, sanno che questa domanda è strettamente legata a un’altra: gli psicoanalisti sono cambiati? e se sì, come sono cambiati? Il problema riguarda quindi la coppia analitica, l’accoppiamento tra paziente e analista al lavoro: il lavoro di reciproca sintonizzazione che ciascuno dei componenti della coppia svolge nella reciproca selezione.

Il tempo ha portato gli psicoanalisti a sviluppare sensori che si sono progressivamente orientati a cogliere e reagire a forme emergenti e codificate di disagio mentale (a partire dalle classiche nevro si). In questa continua opera di scandaglio della sofferenza mentale gli strumenti di lavoro e di diagnosi degli psicoanalisti sono mutati nel tempo. Si sono certamente affinati. Ma si sono anche indirizzati verso nuovi ambiti di espressione della patologia, allontanandosi sempre più dalle nevrosi classiche e scivolando verso aree nosografiche collocate ai margini della psicosi o addirittura – in qualche caso – dentro la psicosi.

Allo stesso modo i pazienti che chiedono una terapia psicoanalitica sono cambiati nel tempo.

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