Simbolo e linguaggio

di Emilio Garroni
«atque», 1 n.s., 2006, pp. 21-40

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Il tema che mi propongo di affrontare in questo breve saggio in onore di Mario Trevi, amico carissimo e studioso di prim’ordine, è un tema, spero, che dovrebbe stargli a cuore, almeno per ciò che vorrei dire, non per ciò che riuscirò effettivamente a dire: il rapporto tra percezione e linguaggio. La percezione sarà considerata qui come facoltà non solo di formare immagini degli oggetti sulla base di sensazioni, ma anche di riconoscerli e interpretarli (questo oggetto e non altri, visto sotto un certo profilo e non un altro), sfruttando l’incompletezza dei dati sensibili e la componente di indeterminazione che è propria della stessa organizzazione di quei dati in immagini interne. In questo senso la percezione sarà riservata agli animali umani, come loro mutazione costitutiva, e distinta dalla sensazione segnaletica operante ed efficace negli animali non-umani. Il linguaggio sarà parimenti visto sotto il profilo della sua capacità di modificare il significato delle parole e di parlare di tutto il dicibile non ancora detto (le sue cosiddette “indeterminatezza semantica” e “onnipotenza” o “onniformatività”). Entrambi, quindi, saranno esaminati soprattutto nella loro creatività, non intenzionale per la percezione e almeno in parte intenzionale per il linguaggio. Lo scopo è di mostrare che, dato che percezione e linguaggio sono cosiffatti, il simbolo è proprio di tutta l’attività linguistica, anche quella, strettamente scientifico-formale, e non solo di discipline a cui gli epistemologi e gli scienziati in senso “forte” (fisici e matematici) guardano troppo spesso e ingiustamente con sospetto, anche e proprio per l’uso che esse fanno di procedi menti simbolici. Il che è invece affatto naturale in qualsiasi uso del linguaggio e tutt’altro che indizio, per se stesso, di scarsa scientificità.

 

 

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