Una delle scoperte più importanti degli ultimi decenni nel campo delle neuroscienze è che il cervello è un organo estremamente dinamico non solo a livello funzionale ma anche morfologico. La “plasticità del cervello” ha ormai soppiantato il concetto del cervello come un organo “statico”, ossia senza possibilità di ulteriori modificazioni soprattutto morfologiche, una volta terminato il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Questa stretta relazione tra l’ambiente e il cervello solleva una questione che non sempre viene considerata con la dovuta attenzione. Se in seguito a essa il cervello si modifica e si differenzia al punto che ormai viene dato per acquisito che non esistono due cervelli identici, neppure nel caso dei gemelli monozigoti, perché del tutto identiche non possono ovviamente essere le loro relazioni con l’ambiente, questa differenziazione, in seguito allo stretto nesso di cui stiamo parlando, non può non coinvolgere anche l’ambiente, che non può di conseguenza essere più inteso e trattato in modo generico e indifferenziato, come un qualcosa che va ritenuto uguale per tutti. Ne consegue che l’ambiente, il quale costituisce il contesto di riferimento della nostra esperienza, va inteso come una sorta di “doppio” del nostro cervello e che per istituire un corretto rapporto con esso non basta copiare, non basta un puro e semplice “mirroring”, occorre un’operazione creativa, una mirroring che non riguarda ciò che semplicemente accade, l’effettuale, ma il possibile, ciò che potrebbe accadere e che può essere visto in maniera alternativa. Si tratta di un nodo cruciale fondamentale che oggi è al centro dell’attenzione convergente delle neuroscienze, dell’epigenetica, della teoria quantistica dei campi, dell’epistemologia e dell’estetica in una prospettiva autenticamente interdisciplinare di dialogo concreto tra diversi approcci specialistici.
Parole chiave: cervello, plasticità, ambiente, doppio, senso della possibilità
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